Chi l’avrebbe mai detto che in un pomeriggio di una calda giornata d’estate del 2015 mi tornasse alla memoria, onestamente con grande affetto, una bella manifestazione enologica dell’ormai lontano anno 2003? Stavo di fatti stappando una bottiglia di Lambrusco Reggiano delle storiche cantine Casali Viticultori di Pratissolo di Scandiano (RE), e già ne assaporavo il sapore, quando la mente e i suoi tarli, musicalmente scherzano, mi ha riportato all’amico Angelo Giovannini che allora, 12 anni fa, mi invitò a “Lambrusco Mio”. Lambrusco Mio era una lodevole iniziativa che aveva come fine la promozione dell’immagine e una maggiore conoscenza presso gli operatori del settore del vino Lambrusco. Fu al termine di quell’edizione 2003 che scrissi un articolo che porto ancora nel cuore e che con piacere vi propongo.
“Non è mai stata mia consuetudine, ogni volta che ho scritto un articolo inerente a un determinato vino o a un preciso produttore, occuparmi di cifre, numeri, grafici (l’ho fatto troppo per la televisione), ho sempre piuttosto preferito evidenziare gli aspetti storici e magari poetici dell’argomento in questione; del resto sarebbe una grave defezione non ammettere che se c’è una tematica che si presta alla grande al gioco è proprio il vino.
Non attuerò dunque alcuna differenza o modifica al mio intento di origine anche in questa occasione in cui mi garba spendere qualche riga sul Lambrusco. Premetto, sinceramente parlando, che le cose che dirò sono di puro appannaggio del mio pensiero e, pertanto, non escludo a priori che qualcuno possa non essere d’accordo con il sottoscritto o comunque non trovarsi in sintonia con la mia riflessione.
Io, al Lambrusco, ci sono sempre stato particolarmente affezionato. Quel suo essere schietto, sincero, brioso, quella sua semplice espressione di vino gioviale, quella piacevole collocazione popolare; quel suo modo di essere vino in tutte le sue varianti. Paragonarlo ad altre espressioni enologiche a mio giudizio è un duplice errore: etico e vinicolo.
Il Lambrusco è il Lambrusco, punto e basta.
E’ fuori discussione che sia stato relegato per anni a semplice comparsa del mondo enologico, per via delle grandi quantità prodotte, ma ciò non toglie che fra i tanti milioni di bottiglie ci sia sempre stata una tipicità autentica. Così come è autentica la sua storia, fatta di grande operosità contadina, di terre strappate alla palude nella bassa pianura e di erosioni secolari in collina. Come sono autentiche le diversità dovute al territorio di provenienza, modenese, reggiano parmense o mantovano che sia. Come autentica è la grande crescita, dal punto di vista qualitativo, ricercata e realizzata dai produttori negli ultimi anni. Una crescita che ho piacevolmente riscontrato ancora una volta, durante la terza edizione di: ”Lambrusco Mio” (Modena 10-12 maggio 2003), evento che ha riscosso anche quest’anno un notevole successo. La simpatica kermesse modenese ha visto infatti protagonisti i Lambruschi di una quarantina di produttori, dalle grandi e rinomate aziende alle più piccole realtà produttive. In entrambi i casi pubblico e stampa di settore hanno potuto degustare, a mio modesto avviso, alcuni vini decisamente interessanti.
E così Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Salamino di Santa Croce e tutti gli altri delle altre provincie hanno, ipoteticamente sfilato, per una tre giorni di grande spessore.
Come sempre accade nelle manifestazioni, ai vini si sono alternati i dibattiti con gli esperti del settore, i momenti gastronomici firmati da ultra premiati chef e, ai miei occhi, da Olmo. Chi è e cosa centra Olmo con il Lambrusco? Come accennavo all’inizio del mio breve intervento, è la parte emozionale che spesso mi stuzzica nel parlare di vino.
Dei dibattiti con i grandi, o ”grassi” conoscitori sono in parte ormai disinteressato, gli chef ai quali prestigiose guide affibbiano stelle, bicchieri, cucchiai e stuzzicadenti mi hanno in alcune occasioni deluso. Allora quale particolare ricordo abbinare ai Lambruschi?
Semplicemente Olmo. Un bimbo di pochi mesi, roseo e paffuto, con le gambette grasse e un sorriso immenso. L’ho visto velocemente poco prima di lasciare la fiera e ho avuto un pensiero immediato. Già un pensiero, piccolo dolce Olmo, che la vita ti sorrida e che il futuro riservi sempre anche a te il grande piacere di un buon bicchiere di sincero Lambrusco.”
Olmo ora è un ragazzo che si affaccia definitivamente alla vita, io e Angelo Giovannini abbiamo qualche anno, e forse qualche chilo, in più; ma l’amore verso il Lambrusco è rimasto intatto, come quello di allora.
La bottiglia della Casali è aperta, ne ho già gustato un sorso, penso alla storia della cantina che risale al 1900, al tanto buon vino prodotto e ai 40 paesi del mondo dove viene esportato. Penso a quante persone attraverso una bottiglia possono bere questa terra generosa, gustare il lavoro dei suoi uomini e assaporare la voglia di vivere che dona un buon Lambrusco. Queste le parole che si sentono in cantina durante le giornate di lavoro: “Ci sentiamo fortunati ad abitare in un luogo così, dove abbiamo potuto imparare la semplicità del fare e la responsabilità di lavorare con impegno e passione, giorno dopo giorno.” Salute a tutti amici miei.
Fabrizio Salce