La recente giornata informativa di martedì 19 dicembre 2023 organizzata dall’Ufficio Caccia e Pesca e dalla Consulenza agricola per i media ticinesi offre interessanti novità in merito all’approccio cantonale ed alla situazione federale sul fronte del lupo. Ogni azione che va nella direzione di riconoscere, anziché penalizzare come è successo in passato, le famiglie contadine che non possono proteggersi dal lupo è la benvenuta.
Secondo quanto emerso in occasione dell’incontro, si va infatti verso un maggiore riconoscimento del lavoro e dell’impegno profuso dagli allevatori nella protezione dei propri animali. E finalmente anche verso la consapevolezza, dopo diversi studi, che le situazioni di non proteggibilità costituiscono la maggioranza nel nostro Cantone, ovvero più del 70% delle aziende ovicaprine ticinesi.
Le misure di protezione attuali hanno dei limiti, anche dove la conformazione del terreno è favorevole. Ribadiamo, come anche ammesso dai funzionari responsabili, che non esiste la soluzione perfetta e che ad esempio l’impiego di un pastore è economicamente sostenibile solo a partire da greggi alpeggiati con almeno 600 ovini. Pastori che oltretutto sono sempre più difficili da reperire e che non appena sanno della presenza in zona del lupo si dileguano e rinunciano all’incarico. Le dichiarazioni semplicistiche di chi non ha una conoscenza diretta del settore agricolo e minimizza gli sforzi intrapresi da tutti gli allevatori, e in particolare da quelli nelle zone di montagna, sono invece altamente offensive ed appartengono alla polemica più sterile.
La maggiore attenzione alle predazioni avvenute in situazioni di protezione virtuose -che costituiscono la maggioranza- deve avere però una naturale conseguenza: il riconoscimento degli indennizzi anche dei capi dispersi in seguito appunto ad un attacco predatorio. La Strategia Lupo federale accorda tale possibilità ai Cantoni e, lo ricordiamo, i capi dispersi inoltre non contano ai fini degli abbattimenti. Ogni singolo animale da reddito possiede un proprio numero identificativo: subita la predazione, annunciati alle autorità i numeri dei capi dispersi (e quelli successivamente ritrovati, sia vivi che morti), dovrebbe essere logico e coerente riconoscere l’indennizzo anche per i capi non più ritrovati. La base legale, come detto, esiste già e auspichiamo l’adozione di tali misure, come anche richiesto in una mozione parlamentare presentata il 22 agosto 2023 e sottoscritta da numerosi deputati. Ciò darebbe anche seguito alle parole che le nuove misure che si vogliono introdurre, cioè non indennizzare capi predati di aziende che avrebbero potuto proteggersi, ma che non lo hanno fatto, non sono dei risparmi a livello economico. Una proposta quest’ultima che andrà però analizzata in dettaglio, siccome il rischio dell’arbitrarietà di giudizio da parte di chi dovrà poi decidere è enorme. Siamo di principio d’accordo di colpire gli allevatori che se ne fregano, seppur rari, ma bisogna usare cautela nel generalizzare e bisognerà permettere ai diretti interessati di eventualmente potersi difendere a livello giuridico nel caso in cui vengano penalizzati.
La tendenza di equiparare le predazioni avvenute in alpeggi “non proteggibili” a quelle avvenute in “situazioni non protette”, che persiste a livello federale e che penalizza gli allevatori i cui animali vengono alpeggiati nei primi, è assolutamente deleteria e per esempio non ha permesso l’eliminazione del branco dell’Onsernone (ndr unica richiesta su 13 non accettata dall’UFAM). Una distorsione, una pecca dell’eccellente Ordinanza sulla caccia voluta dal Consigliere federale Rösti, che tanto ha fatto urlare allo scandalo alcuni ambienti, e che deve essere migliorata e ritoccata in questo ambito.
Anche il Gruppo di lavoro cantonale sui grandi predatori, al quale partecipano anche due rappresentanti dell’Unione Contadini Ticinesi e che consideriamo un ottimo contesto per un confronto costruttivo che porti alla creazione di basi condivise, andrebbe riconsiderato per renderlo davvero efficiente e proattivo. Il rischio di un gremio troppo esteso che si riunisca solamente 1 o 2 volte all’anno, solo per ricevere informazioni e con una capacità operativa limitata, specialmente in rapporto a una situazione tanto dinamica, è reale e controproducente.
La nostra speranza è che la stagione alpestre 2024 venga affrontata con un altro approccio rispetto al passato, sia a livello di comunicazione che di misure di sostegno, concretizzando i primi segnali emersi.
E che l’impegno e le difficoltà riscontrate dagli allevatori ticinesi in merito alle misure di protezione ragionevolmente esigibili vengano maggiormente riconosciuti sia dalle autorità sia dalla popolazione che non ne è direttamente coinvolta.
È infatti ora di cambiare paradigma a tutti i livelli e non continuare a chiedere che sempre e solo gli allevatori si debbano responsabilizzare di più, e debbano fare sempre di più con oneri finanziari rilevanti, per una situazione non voluta, ma favorita da altri. Adesso diventa assolutamente imperativo che ognuno di noi faccia VERAMENTE la sua parte.