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Care amiche, cari amici, buona domenica!
I carnevali riempiono le nostre piazze di colori e gioia. Quindi, visto che c’è anche il sole, perché non approfittarne? Io sono in partenza per Sant’Antonino. A più tardi, se siete nei dintorni!
Sintesi della settimana ed evoluzione
La nostra informazione domenicale dell’Economia con Amalia questa settimana l’attenzione è concentrata sugli avvenimenti internazionali, in particolare sul rapporto tra Stati Uniti e Unione Europea. L’Europa sembra essersi risvegliata bruscamente da un sonno durato oltre settant’anni. Se la prospettiva di una possibile conclusione del conflitto tra Ucraina e Russia nelle prossime settimane è certamente positiva, resta da capire quale sarà il prezzo da pagare. E questo prezzo si preannuncia molto alto, sia per l’Ucraina sia per l’Europa. Da giorni assistiamo agli sforzi del presidente Zelensky per destreggiarsi tra due fuochi: da un lato la pressione del paese più potente al mondo, dall’altro quella del Paese geograficamente più vicino. Il presidente Trump, come da suo stile, non ha usato mezzi termini nel presentare il conto dell’assistenza finora fornita: 500 miliardi di dollari (450 miliardi CHF). Ha dichiarato di essere disposto ad accettare questa cifra sotto forma di diritti di proprietà sulle terre rare. Si tratta di metalli difficili da estrarre (di cui abbiamo parlato spesso nelle nostre newsletter), ma fondamentali per l’industria tecnologica moderna: li troviamo nei televisori, nei chip, nei circuiti elettronici, nei pannelli fotovoltaici, nelle batterie per auto elettriche e persino negli smartphone. Va detto, però, che l’Ucraina non è particolarmente ricca di terre rare. È quindi plausibile che l’interesse di Trump sia rivolto ad altre risorse naturali. Resta il fatto che, inizialmente, Zelensky sembrava incline ad accettare questo scambio. Tuttavia, nelle ultime ore ha fatto un passo indietro, probabilmente anche a seguito delle pressioni dell’Unione Europea.
Unione Europea che in questo momento si troverebbe a subire non solo il danno, ma anche la beffa. Dopo aver deciso, insieme agli Stati Uniti, di sanzionare la vendita di gas russo, ha dovuto rivolgersi ad altre fonti di approvvigionamento, tra cui gli stessi Stati Uniti pagando un prezzo molto alto. Inoltre, le sanzioni hanno di fatto impedito ai paesi europei di esportare verso la Russia, aggravando ulteriormente il quadro economico. Ora, dato che i mali non vengono mai da soli, con la minaccia dei dazi, Trump rischia di rendere ancora più difficile l’accesso delle aziende europee al mercato americano. Ma c’è anche un altro aspetto cruciale da considerare: il costo della pace. Secondo Bloomberg Economics – divisione specializzata in analisi economiche della multinazionale Bloomberg che si occupa di mass media – per garantire la propria sicurezza, i paesi europei dovrebbero investire nei prossimi dieci anni circa 3’000 miliardi di dollari (2’700 miliardi di franchi). Questo implicherebbe per i 15 maggiori paesi dell’UE un aumento della spesa annua per la difesa di 340 miliardi di dollari (305 miliardi CHF), avvicinandosi così ai livelli di investimento militare degli Stati Uniti. Oggi, infatti, gli Stati Uniti spendono circa 750 miliardi di dollari l’anno (675 miliardi CHF), mentre l’Unione Europea si ferma a 280 miliardi (250 miliardi CHF).
Non solo. Il nuovo governo degli Stati Uniti ha fatto sapere, in modo piuttosto esplicito, che non considera più la difesa della pace in Europa una sua priorità. Il messaggio è stato chiaro: da decenni, ormai, il Vecchio Continente sfrutta le risorse americane per garantire la propria sicurezza. Il campanello d’allarme è suonato qualche giorno fa e, come spesso accade, si diventa obbligatorio fare di necessità virtù. Questo è stato ben compreso dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ha recentemente annunciato l’intenzione di proporre l’attivazione della clausola di salvaguardia fiscale per gli investimenti nella difesa. In termini concreti, ciò significa che le spese sostenute dagli Stati membri per il rafforzamento della sicurezza nazionale non verranno conteggiate ai fini del rispetto dei parametri di bilancio europei, che impongono un rapporto debito/PIL non superiore al 60% e un deficit sotto il 3%. Questa misura permetterà quindi ai governi di aumentare le spese per la difesa senza il rischio di incorrere in sanzioni da parte dell’Unione Europea. In maniera analoga, pochi giorni prima, anche il segretario generale della NATO, Mark Rutte, aveva sottolineato la necessità per gli Stati europei di incrementare il budget destinato alla difesa, al fine di scoraggiare un possibile attacco russo nei prossimi anni. Insomma, la corsa al riarmo è iniziata.
E concludiamo con il nostro articolo settimanale in cui spieghiamo che “Anche se i prezzi non aumentano, la statistica deve risparmiare…”. In effetti, negli ultimi mesi l’inflazione ha decisamente rallentato la sua corsa; in Svizzera, addirittura in gennaio i prezzi rispetto al mese precedente sono scesi dello 0.1% (+0.4% su base annuale). Ma questo non basta a sanare i conti e proprio questa settimana abbiamo appreso che l’ufficio federale di statistica, come tutti i servizi dell’amministrazione federale, è chiamata a risanare i conti e per questo dovrà fare delle scelte che implicheranno sicuramente delle rinunce. Speriamo non sia a scapito del Cantone Ticino e della lingua italiana.
Trovate qui gli articoli della settimana
Anche se i prezzi non aumentano, la statistica deve risparmiare…
Se vi siete persi gli articoli delle scorse settimane, eccoli:
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L’economia nel nuovo anno fra ottimismo e prudenza
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L’Economario – il vocabolario di economia
Vi ricordiamo che il nostro vocabolario di economia vi spiega in parole molto semplici, temi apparentemente complessi e soprattutto perché sono importanti nella nostra vita di tutti i giorni. Inflazione, PIL, consumi, commercio estero, disoccupazione: temi in apparenza complessi che vengono spiegati con parole semplici.
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In attesa di quello che ci riserverà l’economia la prossima settimana, vi auguro una splendida domenica!
Un caro abbraccio,
Amalia Mirante