Sono un cittadino di Astano sposato con due figli.
Ero preoccupato perché, se si fosse realizzato un centro asilanti come prospettato di circa quaranta uomini (cifra che corrisponde a più del 20% della popolazione femminile, che tra l’altro rimane in paese sola in attesa del ritorno a sera inoltrata dei loro compagni), nessuno poteva o si sarebbe assunto la responsabilità di garantire un livello di sicurezza accettabile (nel 2015 Astano è stata la capitale del crimine a ticinese, classificandosi quarta a livello svizzero). Considerando quanto sia difficile raggiungere Astano è evidentemente impossibile un intervento celere della polizia come ad esempio avvenuto qualche giorno fa a Chiasso (o come quando il mio bimbo fu minacciato da un ubriaco col fucile, la polizia, nonostante il pronto intervento, ci mise venticinque minuti per arrivare sul posto). Gli ipotetici centri asilanti nei piccoli paesi hanno acceso i riflettori sulla problematica dell’accoglienza in questi luoghi, che in la mancanza di una norma ad esempio sulla percentuale di asilanti rispetto alla popolazione residente, crea terreno fertile a possibili speculazioni. Una percentuale legale sulla popolazione residente, suddivisa per sesso e fascia d’età, non solo creerebbe i presupposti minimi per un’auspicabile integrazione, ma renderebbe meno redditizio questo “mercato”, scoraggiando gli eventuali speculatori. Visto l’approssimarsi delle elezioni, credo sia fondamentale chiedere al proprio referente politico quale sia la sua posizione su quest’argomento, e non aspettare quando deciderà di aprire davanti alla vostra casa un centro asilanti superiore al 10% della popolazione residente. Ad Astano non è successo grazie alla mobilitazione popolare, ma soprattutto perché il cantone è ancora in condizione di potere ascoltare e assecondare le giuste ragioni dei cittadini, ma fino a quando potrà permetterselo?
Comunque la cosa che in questa vicenda mi ha preoccupato e mi preoccupa tuttora moltissimo, è il vedere che molti erano e sono spaventati di manifestare pubblicamente le loro fondate e lecite preoccupazioni.
Se si ha paura di esprimere il proprio disagio, sinceramente e rispettosamente, vuol dire che la società civile sta morendo. Chi non ha il coraggio di esprimersi apertamente e obiettivamente su questi difficili argomenti, si rende corresponsabile dei delitti causati da una sbagliata gestione del “problema asilanti”, e contribuisce “inconsapevolmente” ad alimentare la fiamma dell’odio razziale che già in passato ha incendiato l’Europa.
Allora dico hai leoni da bar, di dimostrare di essere uomini responsabili, civili, impegnati e coraggiosi almeno quanto le proprie compagne, e di essere capaci di dire no a progetti e a leggi che non condividono.
ANDREA GENOLA