Fioriscono i narcisi in questa tarda primavera, simbolo della nazionale gallese di rugby, ma per omonimia con il porro reale emblema del popolo celtico, a ricordarci il mito, appunto di Narciso, che a seguito di una punizione divina si innamora della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d’acqua e muore cadendo nel fiume in cui si specchiava. Ma oltre al Galles qual è il legame oggi tra Rugby e Narciso? Il rugby è sport di squadra per antonomasia, tra i suoi valori primari la fanno da padrone il concetto di rispetto per l’altro, arbitro e avversario in primis e appartenenza, in alcuni paesi il club è considerato una famiglia, nella confinante Francia “una piccola patria nella grande patria”. Pare però che anche la pallaovale non abbia fatto i conti con la società odierna dove il narcisismo, inteso come individualismo e considerazione del mondo a partire da se stessi, padroneggi . La nostra, e lo vediamo nel quotidiano, è oggi una società prettamente narcisistica. Ce lo dicono i nostri figli adolescenti che faticano ad avere relazioni reali, preferendo quelle virtuali e ci ricordano quotidianamente il loro senso di onnipotenza. Sembra che oggi la relazione tra persone non sia più possibile, essa è superata dall’incontro, spesso casuale e non esclusivo, che non per forza genera una relazione. Incontrarsi per una partita e giocare insieme lo si può fare anche senza per forza relazionarsi. E allora il rugby va in tilt, perché ci si chiede. “ come è possibile legarsi in otto, avere lo stesso meta pensiero, unire forze e sincronismi per spingere indietro una mischia avversaria senza condividere anche appartenenza?” E’ molto difficile e la crisi dei club rugbistici in Svizzera e non solo, si vede nella mancanza di continuità e nella grossa dispersione di giocatori, che non vivendo il club come luogo dell’appartenenza se ne distaccano e poi magari tornano, a loro narcisistico piacimento., Questo sembra oggi mettere in discussione e minare l’essenza e il Dna della pallaovale. I professionisti non hanno questo problema e qui c’è un altro paradosso, come se il denaro fosse il legame. E’ più facile che in una squadra di professionisti nascano legami e relazioni, come sul lavoro, piuttosto che in contesti “liberi”. Come dire che dove c’è una ”dittatura”, in questo caso di chi paga una prestazione e ne segna i limiti, per cui o sei dentro o sei fuori in base ad un contratto economico, il narcisismo viene contenuto, addirittura inibito e indirizzato. Dove c’è libertà prevale il “faccio quello che voglio”, inteso però come “conto solo io”, e Io, vengo prima di tutto, del club, la squadra, la classe etc. Questa lettura, tra il filosofico e lo psicosociale del rugby, fa però pensare, al Rugby Lugano, che è necessario portare in questo Mondo un messaggio diverso, o almeno provarci. Nasce così un progetto, Rugby in Cartella, in collaborazione con la scuola Parsifal di Muzzano, che in maniera sperimentale lo ha accettato e soprattutto condiviso e sostenuto, per portare le metafore del rugby nella scuola, per pensare che l’individualità possa essere messa in maniera circolare al servizio della squadra per poi tornare utile al sé. Allora i ragazzi della scuola fanno i conti con esercizi pratici dove da soli non si può raggiungere la meta mentre insieme è più facile farlo. Dove abbracciare il compagno o placcare un avversario indica una relazione, fisica, ma non solo, riscoprendo i significati etimologici e antropologici dello stare insieme. Come il placcaggio è andare incontro all’altro. Un’ esperienza anche di dono, che è in sé un’operazione narcisistica ma che assume poi un valore sociale diventando esperienza condivisa , del resto “quale più̀ alto dono è possibile fare, nella relazione educativa e nel sociale allargato, se non quello che colma le distanze, riempiendole di sensi d’appartenenza ?” un piccolo tentativo di non morire, specchiandosi nello stupendo fiume ovale.
Alessandro Borghetti