Come avviene nel resto della Svizzera, anche in Ticino si può constatare un rallentamento dell’economia, anche se questo è rimasto abbastanza limitato nel 2015. La varietà dei settori economici presenti sul territorio cantonale ha permesso di attutire in parte gli effetti molto negativi a cui sono stati esposti, in tempi e modi differenti, l’industria, il turismo e il commercio su tutti. L’economia ticinese nel suo complesso, come quella svizzera, ha saputo affrontare un difficile 2015 con decisione e una buona capacità di reazione che ha evitato danni peggiori.
In sostanza, l’andamento degli affari nel 2015 è stato giudicato di segno positivo (da soddisfacente a buono) dal 65% delle imprese, meno di quanto previsto a fine 2014, per gli ovvi motivi legati alla decisione della Banca nazionale svizzera dello scorso 15 gennaio 2015. Il rallentamento dell’economia appare evidente se consideriamo che nel 2014 il 76% delle aziende aveva rilevato risultati positivi. Per l’andamento futuro, il 63% delle imprese prevede un andamento da soddisfacente a buono per il primo semestre 2016 e la percentuale resta quasi identica (60%) per le previsioni oltre i primi sei mesi dell’anno. Anche le previsioni si attestano su percentuali decisamente meno positive rispetto a quanto avvenuto negli scorsi anni, quando in media tre aziende su quattro esprimevano ottimismo per l’anno successivo. Per il momento sono ancora confortanti i dati sugli investimenti effettuati e sulla relativa propensione agli investimenti per il 2016, mentre negativo è il fatto che il grado di autofinanziamento delle aziende sia in peggioramento, seppur abbastanza lieve.
La Cc-Ti, in questo anno di importanti cambiamenti, ha ulteriormente intensificato le iniziative a favore delle aziende in vari campi come la regolamentazione, la fiscalità, la mobilità e la formazione. Per le aziende legate all’esportazione la Cc-Ti le ha sostenute ad esempio nella formazione specifica attraverso l’Export Training Center. Molte aziende anche finora rivolte solo al mercato interno hanno invece potuto fruire dei servizi dell’International Desk per la prospezione di nuovi mercati e quindi l’apertura di nuove relazioni commerciali che potessero in qualche modo attutire l’impatto negativo del franco forte.
1. Capacità di adattamento delle aziende
In generale, si può constatare come le aziende abbiano fatto un ulteriore sforzo per razionalizzare i processi, contenere i costi, diversificare le attività e cercare nuovi sbocchi di mercato. Sfruttando margini di manovra sempre più esigui, perché è bene ricordare che si è trattato del terzo esercizio del genere in pochi anni, dopo la crisi finanziaria del 2008 e la prima crisi valutaria del 2011. Sono quindi assolutamente fuori luogo le critiche secondo cui le aziende approfitterebbero della situazione per tagli non necessari. Prova ne è che, raccogliendo anche gli inviti delle associazioni economiche, l’intervento sul personale è rimasta l’ultima ratio e al di là di alcuni casi più o meno eclatanti molto mediatizzati, le aziende hanno preferito altre vie per contenere i costi. Se questo potrà confermarsi per il 2016 è una speranza ma tutt’altro che una certezza, visto che le previsioni sono prudenziali a causa delle questioni valutarie ma anche dell’imprevedibilità dell’andamento di molti mercati di riferimento. Da vedere, per quanto riguarda il Ticino, quali saranno gli effetti “a cascata” di un peggioramento marcato in ambito industriale in vari cantoni svizzeri, dove sono localizzate molte aziende di riferimento per le nostre. Non è escluso che vi possa essere un’onda negativa ritardata per il nostro cantone, che potrebbe avere qualche effetto anche sull’occupazione.
Comunque, come sempre emerso negli scorsi anni, la tendenza ticinese è in linea con gli altri cantoni dove si conduce l’inchiesta e in generale con tutti gli altri cantoni. Anzi, in alcune situazioni, come confermato da tutti i rilevamenti effettuati dalle Camere di commercio e dell’industria, la situazione è meno buona, come ad esempio nella Svizzera orientale o nel Giura, a causa dell’impatto del franco forte sulle attività industriali.
2. Il caso particolare dell’industria di esportazione
Per quanto riguarda l’industria di esportazione, chiaramente fra le più toccate dalla decisione della Banca nazionale svizzera di abolire il cambio fisso del franco con l’euro, l’impatto sull’andamento degli affari è incontestabile. L’andamento da soddisfacente a buono varia da un 54% a un 70% delle aziende (nel 2014 il valore variava tra il 70% e l’80%). Interessante è constatare che non risulta particolarmente decisivo il grado di dipendenza dalle esportazioni, ma molto di più la struttura del proprio portafoglio di esportazioni. In altre parole, ad esempio chi esporta nella misura del 20% della cifra d’affari può trovarsi maggiormente in difficoltà rispetto a chi esporta al 100% se i clienti di riferimento si trovano solo nella zona euro e in settori più difficili, con maggiore concorrenza sul prodotto ecc. Le cifre sull’andamento delle esportazioni, considerate le circostanze, possono essere ritenute tutto sommato positive e dimostrano come questo particolare ambito economico sia molto variegato e segua dinamiche complesse. La situazione è influenzata da vari fattori come i mercati sui quali le aziende operano, il tipo di clientela e di prodotto, la valuta utilizzata, ecc. A fronte di situazioni chiaramente drammatiche di riduzione sostanziale delle attività, vi sono altri casi molto più positivi e che hanno potuto ancora approfittare di un livello di ordinativi ragguardevole. Questo porta quindi ad avere un “saldo” generale abbastanza positivo. Le previsioni per il 2016 delle aziende che lavorano nell’ambito dell’esportazione sono tendenzialmente in linea con quelle dell’andamento del 2015.
3. Investimenti e grado di autofinanziamento
Un dato confortante, malgrado la pesante erosione dei margini e quindi degli utili da reinvestire, è dato dal 47% delle aziende che hanno operato investimenti, mantenendo il livello generale praticamente inalterato. Una cifra che in periodi di congiuntura migliore appariva come relativamente bassa, perché appunto il contesto avrebbe dovuto incitare a maggiori investimenti, sembra allo stato attuale delle cose un valore molto positivo. La propensione agli investimenti per il 2016 espressa dal 45% delle aziende è pertanto da considerare come dato confortante. Un calo si riscontra per contro per il margine di autofinanziamento delle imprese, definito scarso dal 25% contro il 20% nel 2014, mentre tra soddisfacente e buono è per il 63%, contro il 70% del 2014. Non si tratta di dati allarmanti, ma sul lungo periodo non possono non essere considerati con una certa preoccupazione, anche perché è una tendenza in atto da qualche tempo e potrebbe limitare a medio-lungo termine le possibilità di investire delle imprese e quindi di mantenere la competitività.
4. Occupazione
Dal punto di vista occupazionale, è stata registrata una stabilità dell’effettivo per il 60% delle aziende, mentre il 20% ha aumentato il personale e il 20% lo ha ridotto (a volte di poche unità). Per il 2016 il 75% delle aziende prevede stabilità dell’effettivo, 15% una riduzione e 10% un aumento. Dati non molto dissimili da quelli registrati nel 2014, a conferma che anche in prospettiva le aziende si preoccupano, nel limite del possibile, di mantenere i propri effettivi.
5. Incidenza dell’euro sull’attività aziendale e riforma III dell’imposizione fiscale delle imprese
Come tutti gli anni, a parte le domande di carattere generale sull’andamento aziendale, sono stati rivolti alcuni quesiti specifici alle aziende. Quest’anno le domande più specifiche erano nuovamente riferite alla questione valutaria ma anche alla riforma III dell’imposizione fiscale delle imprese.
Orbene, il 70% delle aziende ha rilevato che l’euro è la valuta che più influenza le loro attività, seguita dal dollaro per il 6%. Il 23% delle aziende non è toccata da nessuna valuta estera e questo è facilmente spiegabile con il fatto che vi sono aziende legate esclusivamente al mercato interno e alla valuta svizzera sia per la clientela che per l’approvvigionamento. Per le aziende che operano con diverse valute, il 72% della cifra d’affari è realizzato in franchi, il 21% in euro e il 6% in dollari. L’impatto della crisi dell’euro è stato di segno negativo per il 69% delle aziende, non ha avuto impatti per il 22% e ha avuto effetti positivi solo per il 9%. Le misure prese o considerate per ovviare alla crisi dell’euro sono state molte, come già evidenziato in precedenza. Dalla diminuzione dei prezzi di vendita (58%, che spiega spesso la consistente diminuzione dei margini), alla copertura dei rischi (21%), passando per il ri-orientamento degli acquisti (31%) e alla prospezione di nuovi mercati (41%). L’aumento dei prezzi di vendita è misura non molto utilizzata (7%), così come fortunatamente lo spostamento della produzione (4%), benché sussista qualche preoccupazione per una lenta e strisciante deindustrializzazione in tutta la Svizzera. Le misure sul personale sono rimaste molto contenute, con un aumento dell’orario di lavoro menzionato dal 6% delle imprese a una diminuzione dei salari citata dal 10%. Il 22% ha citato la riduzione degli effettivi, che spesso hanno toccato solo poche persone, per cui si spiega il dato tutto sommato abbastanza stabile concernente in generale l’occupazione. Come già evidenziato in precedenza, laddove possibile le aziende tendono a mettere in atto altre misure prima di intervenire sul personale.
Per quanto riguarda la riforma III dell’imposizione delle imprese, il 42% delle aziende ha indicato nella fascia tra il 15 e il 17% la soglia critica di tasso d’imposizione fiscale complessivo delle imprese, oltre il quale sarebbe rimessa in discussione la competitività della piazza economica ticinese. Per il 38% tale soglia si attesta fra il 13 e il 14%, mentre per il 20% entra in considerazione un valore del 17% o oltre. Fra gli sgravi fiscali auspicati per gli investimenti aziendali, figurano quelli per le misure nell’ambito della formazione (60%), quelle per la mobilità aziendale (26%), quelle di efficienza e sostenibilità energetica (24%) o altre misure (38%). Il dossier è molto complesso e attualmente al vaglio del Parlamento federale, per cui le aziende non hanno potuto esprimersi con certezza sui dettagli della futura revisione. E’ però importante rilevare come ci sia una certa accettazione del cambio di paradigma fiscale e che solo un valore oltre il 17% di imposizione complessiva non trova molti consensi. D’altra parte però le aziende si attendono alleggerimenti fiscali per categorie importanti di investimenti aziendali, come la formazione del personale.
6. Misure auspicate dalla politica e azioni concrete della Cc-Ti a favore delle aziende
Data la complessità della situazione economica, in particolare per la questione concernente la forza del franco rispetto all’euro, la Cc-Ti condivide sostanzialmente l’approccio del Consiglio federale in particolare di non prevedere aiuti diretti alle aziende, perché questo creerebbe disparità di trattamento e l’istituzione di un enorme apparato burocratico, di difficile gestione. Con questo non si vuole negare che vi siano settori e aziende molto più esposti e in difficoltà di altri, anzi, ma la difficoltà di aiuti diretti sotto forma di sovvenzioni è evidente. Coerenti con la nostra linea liberale, riteniamo però che l’attività aziendale vada avantutto sostenuta attraverso aiuti indiretti, che concernono in primis il miglioramento del quadro entro il quale le aziende sono chiamate a muoversi, evitando ad esempio di rincarare il costo del lavoro, di aumentare il carico fiscale diretto o indiretto, di creare inutili pesantezze burocratiche. Purtroppo la politica sembra andare in una direzione opposta, sia a livello federale che cantonale, prevedendo regole sempre più restrittive in molto ambiti (diritto del lavoro ad esempio) o nuove tasse (più che imposte) e lacci burocratici sempre più stretti. Continueremo in questo senso a batterci affinché le aziende possano lavorare con la massima flessibilità possibile a tutela della competitività loro e di tutto il territorio.
E’ opportuno ricordare che la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, deve mantenere un equilibrio fra le aziende molto orientate sul mercato interno e quelle che esportano parte o la totalità dei loro prodotti. Burocrazia, fiscalità, mobilità e formazione sono temi comuni a tutte le imprese e sono costantemente seguiti. Nel contesto dell’esportazione, abbiamo fortemente sostenuto in particolare due fra le più importanti preoccupazioni delle aziende, cioè il bisogno di formazione specifica, anche per nuove figure professionali, e la prospezione di nuovi mercati. Attraverso l’Export Training Center della Cc-Ti abbiamo organizzato un numero importante di corsi tagliati su misura per le imprese esportatrici, al fine di migliorare le competenze di collaboratrici e collaboratori. Per la prospezione di nuovi mercati, con l’International Desk della Cc-Ti abbiamo organizzato numerose missioni economiche per aprire ulteriori sbocchi commerciali per gli imprenditori ticinesi, lavorando in particolare sui mercati della Russia, della Turchia e del Kazakistan (oltre alla presentazione di opportunità di business di molti altri paesi). Il lungo lavoro svolto ormai da diversi anni sul mercato russo in particolare sta portando i primi frutti, come dimostra la notizia di qualche giorno fa della conclusione di un importante contratto per la ditta Agroval SA di Airolo.
Hanno partecipato all’inchiesta 269 aziende commerciali, industriali, artigianali e dei servizi associate alla Cc-Ti e da tempo presenti e ben radicate sul territorio cantonale, in rappresentanza di 14’991 posti di lavoro in Ticino. Le aziende sono state suddivise in due gruppi: industria/artigianato (108 aziende) e servizi/commercio (168 imprese). Il campione di aziende è ormai consolidato da sei anni, per cui i risultati possono essere considerati attendibili e di regola sono sempre confermati dalle analisi scientifiche condotte dagli istituti federali e cantonali specializzati. Ovviamente l’inchiesta mira a dare indicazioni sulle tendenze generali dell’economia ticinese e non intende sostituire analisi più mirate effettuate dai singoli settori economici.