La decisione della Commissione della sicurezza del Consiglio Nazionale di aumentare il budget dell’esercito di altri quattro miliardi tra il 2025 e il 2028 non c’entra nulla con la difesa nazionale: si tratta al contrario della volontà della maggioranza borghese di ubbidire a un diktat che ci arriva dalla NATO e che si inserisce nella folle corsa al riarmo dell’UE.
Deve essere chiaro: la retorica sulla sicurezza è uno specchietto per le allodole! L’establishment svendipatria strumentalizza la comprensibile preoccupazione della popolazione per l’instabilità geopolitica, ma con questa politica non si rafforza il nostro Paese, al contrario lo si trasforma in un bersaglio in caso scoppiasse una terza guerra mondiale. Il Consiglio federale e lo Stato Maggiore Generale si stanno infatti piegando ai piani per vincolare sempre di più le nostre forze armate sia tecnologicamente sia politicamente ai sistemi d’arma atlantici e agli ingaggi esteri.
Si sta anche prospettando – con tanto del vergognoso voto decisivo di una deputata “socialista” – una modifica della legge sul materiale bellico per agevolare la riesportazione di armi prodotte in Svizzera all’Ucraina, cioè a un regime (autoritario) macchiatosi dal 2014 di una politica criminale contro la propria stessa popolazione civile di etnia russa e che da due anni si trova in guerra con un altro Stato. Oltre alla gravità di questa riforma, palesemente contraria alla neutralità, e all’inopportunità di effettuare tali modifiche proprio quando le ostilità sono tuttora in corso, questa modifica di legge si applicherà addirittura retroattivamente: un’aberrazione anche dal punto di vista delle basi legali per uno Stato di diritto.
Il Partito Comunista si oppone alla corsa agli armamenti in corso, che – oltre a comportare tagli e misure di austerità in altri ambiti del servizio pubblico – indebolisce la prospettiva della pace e della neutralità e che rende il nostro esercito sempre più dipendente dalla NATO nel pieno di una guerra.
Partito Comunista
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